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Viaggio nel manicomio abbandonato di Colorno. Seconda Parte

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Tommaso ci accompagna oggi nella seconda parte di un viaggio per il manicomio abbandonato di Colorno, in provincia di Parma. Se da una parte si tratterà di un viaggio temporale, nella storia del manicomio, dall’altra sarà anche un viaggio vero e proprio, grazie alle foto della struttura come si presenta oggi. Buona lettura!


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di Tommaso Ferrari

L’incontro tra Tommasini e Basaglia

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Come prime misure il neoassessore Mario Tommasini elaborò due delibere, assunte il 21 giugno 1965, che prevedevano la riduzione dell’orario di lavoro degli infermieri e la costituzione di una commissione tecnico-sanitaria per lo studio dei problemi relativi ai servizi dell’assistenza psichiatrica[1]. In quell’estate Tommasini decise anche di incontrare Franco Basaglia: il primo incontro avvenne a Padova dove lo psichiatra invitò l’assessore a visitare l’ospedale psichiatrico di Gorizia, dove aveva iniziato la sua azione di riforma. Alcuni giorni dopo Tommasini con il direttore della clinica universitaria di Parma Fabio Visintini e un’assistente sociale di Colorno partirono per Gorizia. Furono «due giorni di esperienze esaltanti»[2]: Tommasini vide

«gruppi di persone che parlano, altri che camminano nei viali del parco dell’ospedale; non si capiva chi fosse il malato, chi l’infermiere. Basaglia ci viene incontro e subito ci porta a vedere la “comunità terapeutica”. […] Erano delle riunioni molto concrete, molto vere».[3]

Era «la nascita di una inedita alleanza terapeutica che poneva le basi di un processo che non era ancora la negazione dell’istituzione e dei suoi dispositivi, ma che ne minava le fondamenta»[4]. Il gruppo, dopo aver soggiornato a Gorizia per due giorni, decise di invitare Basaglia a Colorno, per tenere un’assemblea pubblica, e di iniziare scambi con Gorizia per la formazione degli infermieri[5]. Il 18 ottobre 1966 lo psichiatra per la prima volta andò a Colorno per un dibattito con la popolazione, gli infermieri del manicomio, i politici e i sindacalisti.1979_-_BasagliaFoto800 Alla fine dell’assemblea Basaglia propose a Tommasini di raccogliere in un libro alcuni testi su Gorizia e materiale frutto della collaborazione tra Colorno e Gorizia: l’opera fu stampata nel 1967 a cura dell’amministrazione provinciale di Parma con il titolo Che cos’è la psichiatria?. Nel libro Basaglia volle riportare anche la trascrizione da nastro magnetico del dibattito tra una delegazione di infermieri e amministratori dell’ospedale psichiatrico di Colorno e il personale sanitario, infermieri e degenti di quello di Gorizia. L’incontro tra le due parti avvenne a Gorizia il 20 dicembre 1966. Insieme alle domande sulla quotidianità dell’ospedale di Gorizia, uno degli argomenti più discussi durante l’incontro (e ciò fu notato anche da Basaglia) è la ricerca delle cause della persistenza di reparti chiusi, sia a Colorno che a Gorizia: un paradosso per il pensiero dello psichiatra e per la ricerca di liberalizzazione dei manicomi[6]. Basaglia ritiene che

«il superamento di tale negativo non può avvenire nelle parole e nel semplice confronto delle opinioni, ma attraverso la modificazione della realtà istituzionale, attraverso la progressiva presa di coscienza di ciò che accade a coloro che sono, come malati, come medici, come infermieri, nell’istituzione chiamata ospedale psichiatrico».[7]

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Macchina portabile per l’elettroshock conservata nell’Archivio storico dell’ospedale psichiatrico provinciale di Colorno.

L’occupazione del manicomio

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Una fotografia dell’occupazione del manicomio di Colorno. Archivio del Centro studi movimenti, fondo Karin Munk.

Nell’autunno del 1968 nell’ufficio di Tommasini, nella sede della Provincia, si svolse una riunione tra l’assessore, Basaglia, uno psichiatra di Colorno e alcuni esponenti del movimento studentesco della Facoltà di medicina dell’Università di Parma. Il gruppo decise di occupare l’ospedale psichiatrico di Colorno, lo scopo dell’occupazione per gli studenti era di «denunciare le condizioni reali di vita dei malati, così diverse da quelle descritte dalla psichiatria che si insegna nelle università»[8], si voleva creare una discussione pubblica sull’assistenza ai malati che coinvolgesse la popolazione. A Colorno, inoltre, la riforma del manicomio progrediva a rilento e la direzione dell’ospedale psichiatrico non voleva portare avanti il cambiamento voluto da Tommasini, così l’assessore -essendosi dimesso Basaglia dal manicomio di Gorizia- volle «creare il caso per preparare la sua [di Basaglia] venuta a Parma»[9] occupando l’ospedale. Il 2 febbraio 1969 gli studenti dell’università tennero un’assemblea all’interno del manicomio, dando inizio all’occupazione. Era la prima volta che si occupava un ospedale psichiatrico e l’evento venne trattato da tutti i giornali, «nel manicomio occupato giunsero anche importanti esponenti della direzione nazionale del Pci, come Giovanni Berlinguer e Sergio Scarpa»[10].

«I degenti e i loro familiari appoggiarono l’occupazione. Gli infermieri si divisero fra un’ala conservatrice e un’avanguardia disposta a mettere in gioco il proprio ruolo. I medici, gli psichiatri della vecchia guardia manicomiale, a cominciare dal direttore, furono scavalcati e travolti dagli eventi».[11]

Il movimento studentesco decise di non chiudere quell’esperienza in se stessa, ma di collegarsi al territorio, alle lotte sindacali e operaie in atto. Il 9 febbraio a Colorno si tenne una grande assemblea alla quale parteciparono le delegazioni di dieci università italiane. Il 4 marzo, tuttavia, irruppe nel manicomio una squadra di aderenti dell’Msi «che seminò distruzione e devastazione, e mise a rischio l’incolumità degli occupanti»[12]; l’aggressione fu bloccata con l’intervento di militanti del Pci.

Il 9 marzo 1969 l’occupazione cessò: erano state ottenute garanzie formali dalla pubblica amministrazione di una istituzione di servizi esterni all’ospedale e di miglioramento delle strutture manicomiali[13]. «In questa vicenda si verificò una inedita convergenza fra il movimento studentesco (di medicina), Basaglia e il gruppo di Gorizia e il Pci nelle sue istanze locali»[14].

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[1] Cfr. Tradardi, La psichiatria a Parma, cit. p. 189.

[2] Tradardi, La psichiatria a Parma, cit., p. 199.

[3] Tommasini, Il mio rapporto con Basaglia, cit., pp. 26, 27.

[4] Tradardi, La psichiatria a Parma, cit. p. 199.

[5] Cfr. Tommasini, Il mio rapporto con Basaglia, cit., p. 27.

[6] Cfr. Franco Basaglia (a cura di), Che cos’è la psichiatria, Einaudi, Torino 1973, pp. 47-81.

[7] Basaglia, Che cos’è la psichiatria, cit., p. 47.

[8] Tommasini, Il mio rapporto con Basaglia, cit., pp. 33, 34.

[9] Ivi, p. 33.

[10] Ivi, p. 34.

[11] Tradardi, La psichiatria a Parma, cit., p. 204.

[12] Ibidem.

[13] Cfr. Tommasini, Il mio rapporto con Basaglia, cit., p. 36.

[14] Tradardi, La psichiatria a Parma, cit., p. 205.